venerdì 22 ottobre 2010

Comincio con qualche pagina del mio LA VOLTA DEL BRICOLLA per chi non l'ha letto e per chi vuole un assaggio di me e dei miei personaggi.


Piero era nato nel 1927 da Lucia e da Antonio Viganò, fattore alla cascina Fiumi, di proprietà di due famiglie di Luino i Fiumi appunto, due fratelli che avevano ereditato dal padre parecchi terreni e tutta la collina delle Primule, chiamata così perché in primavera diventava uno spettacolo di corolle gialle e le vecchie del paese con la paletta in mano, ne coglievano a decine per trasferirle nelle aiuole davanti a casa.
Antonio lavorava dodici ore al giorno, dall’alba al tramonto, da quando il sole filtrava dalla persiana e le capre volevano uscire libere di brucare al tramonto, quando l’uomo riponeva tutti gli attrezzi della giornata, dalla falce al rastrello, alla sega e ai pali per legare i piselli nell’orto. Nella stagione buona i prodotti della cascina scendevano col carretto dell’Emilio fino al mercato di Luino. Una bella fetta della merce veniva lasciata direttamente sulla porta della cucina di villa Fiumi e il resto, era guadagno in più per i due lavoratori. Il salario non era certo paragonato alla fatica e quei soldi fatti al mercato servivano per le scarpe dei bambini, per una nuova giacca pesante. Per fortuna a casa Viganò i figli erano solo due, Piero e Eugenio perché Lucia era quasi morta all’ultimo parto e la levatrice aveva assicurato che non ce ne sarebbero stati altri. Lucia spesso si lamentava con le amiche per la mancanza di una figlia femmina e temeva per la sua vecchiaia, perché i figli maschi lasciano la casa, le femmine la mantengono, diceva. L’Emilio invece di figli ne aveva sei e faticava a garantire tre pasti al giorno.
Due, tre volte la settimana, Antonio e Eugenio salivano sulla barca da pesca di famiglia, una tinozza in legno per la verità e tornavano con secchi di, persici cavedani e agoni.
Mamma Lucia con gli Agoni faceva il carpione che durava anche quindici giorni.
Nei primi giorni di dicembre, Piero aspettava la fregola per pescare con il padre i lavarelli. Era il momento in cui anche lui andava a pesca, perché proprio in quei giorni, nei giorni della fregola, i lavarelli salivano dal fondo e arrivavano quasi a riva. Antonio non si fidava ad uscire con Piero, la barca era troppo instabile e il bambino troppo piccolo per affrontare eventuali venti inaspettati, oltre l’Inverna che accompagna la sera. Il lago è improvviso nel suo splendore e nella sua ferocia, e in un attimo l’Invernone può augurare tempesta o il Maggiore agitare così tanto l’acqua da ribaltare la barca.
Ma quel lago e l’aria che lo accarezzava e saliva verso le montagne e le colline, era ciò che assicurava a tutti la sopravvivenza.
Gli anni passarono, Piero divenne un ragazzo, suo fratello Eugenio un uomo e la guerra rimbombava tra gli stati intorno. Le camice nere divennero abiti quotidiani e le parole al circolo si trasformarono in comizi.
Presto ci sarebbe stato d’andare in battaglia un’altra volta, di sicuro e nel paese che nel 1942 contava settecentocinquanta abitanti, oltre duecento erano uomini da divisa. Se fosse davvero successo, le donne e i ragazzi non sarebbero stati sufficienti a lavorare la terra e procurare legna da ardere e cibo per chi restava. Qualcuno, come l’Ernesto, tremava con i suoi quarant’anni e sei figli perché di certo, non avrebbe saputo cosa fare se fosse stato chiamato a servire la Patria.
La Patria, cos’era per gli abitanti di Montagnola, paese lanciato sul lago Maggiore e alle spalle il monte Tauro a proteggerli? Cosa c’entrava la Patria nelle loro case modeste ma ordinate, umili ma pulite? Cosa poteva chiedere a un gruppo di famiglie impegnate a sopravvivere e a cercare di migliorare se stessi pagando la scuola ai pochi figli che potevano andarsene?
Cosa poteva volere la Patria lì, dove già tutto aveva un padrone, le case, i terreni, persino le montagne? Padroni che nemmeno conoscevano la vastità dei loro domini e che la terra non l’avevano mai toccata. Le patate erano servite ai loro tavoli cotte a puntino e la farina la masticavano trasformata in pagnotte. Loro, gli abitanti di Montagnola quella terra la frugavano, la baciavano quando dava frutti e la maledivano quando si crepava inghiottendo tutto o scivolava al lago per le troppe piogge. La mangiavano d’estate con la cicoria matta, l’accarezzavano per seminarla, la proteggevano dal gelo e dalle malattie. La Patria questo non sapeva farlo di certo. Nemmeno la guerra sapeva fare da sola, gli servivano gli abitanti di Montagnola e dei paesi intorno.
Questo dicevano al circolo. Gli uomini tornati dalla guerra nemmeno tanto lontana, invecchiati prima del tempo, con i capelli bianchi per la paura e rughe profonde per anni di freddo, di fame, di violenza, non avrebbero lasciato le loro case e la loro terra per nessuno. La Patria a loro non aveva dato nulla e nulla nemmeno il potere delle camicie nere che tanto aveva promesso. Montagnola aveva già regalato alla Patria centododici morti, non gliene avrebbe dati altri. La gente si unì in un abbraccio solidale, in attesa che il Duce chiamasse, per avere la forza di dire di no.
«Qui non abbiamo nemmeno le strade, vedrai che non ci arrivano con i camion». Diceva Antonio a Lucia.
Lucia invece piangeva pensando che presto il suo primo figlio le sarebbe stato strappato. Antonio no, aveva quarantuno anni, era già vecchio per l’esercito e non era più buono per la guerra, non era buono per il Re ma Eugenio che di anni ne aveva diciannove, di certo. Piero era al sicuro, di anni ne aveva solo sedici.
«Ti aiuterò io mamma se Eugenio deve andare» ripeteva Piero alla madre che amava con tutto il cuore. La guardava impastare la farina con l’acqua per farne pagnotte croccanti e schiumare il brodo dal grasso. La guardava rammendare le calze di lana rotte dalla punta degli scarponi e allungare i calzoni di Eugenio che cresceva alto e dritto come un palo, come un albero sano e forte. Chiudeva gli occhi ogni sera per ricevere il suo bacio della buonanotte e lei gli diceva “Sogni d’oro ninin”, ogni sera.
Non l’avrebbe mai lasciata sola, avrebbe sempre provveduto a lei come una figlia femmina, come avrebbe fatto quella bambina rimasta tra le braccia del Signore, come lei diceva sempre.
Ma il 1943 arrivò con furia e arrivò l’ordine di reclutamento. Furono appesi alle porte della Chiesa e del Municipio i nomi di chi avrebbe dovuto presentarsi a Luino per l’arruolamento. Chi non l’avesse fatto, sarebbe stato condannato a morte. A morte.
«Morire qui o al fronte, che differenza fa?» dissero in molti, salutando mogli e figli.
Su quegli elenchi il nome di Emilio non c’era ma quello di Eugenio sì.
Eugenio partì. Non per Luino ma prese il sentiero della Forcella un giorno di novembre, protetto dalla nebbia che avvolgeva il monte Tauro, profonda come la notte.
Piero sentì i lamenti della madre quella mattina, prima dell’alba e si alzò.
«Dove vai?» chiese a suo fratello.
«Via Piero, tornerò quando la guerra è finita e finirà presto. Tu aiuterai la mamma e il papà, aiutali e proteggili, tornerò presto».
«Hai preso tutto?» diceva suo padre, come se avesse fretta di farlo uscire, come se l’alba potesse rubargli il figlio.
Lucia lo accarezzò e lo baciò, lasciandogli sulle guance tracce di lacrime.
«Sta attento ninin, e manda notizie” disse prima di richiudere la porta e abbandonarsi al pianto.
Piero restò sveglio immaginando Eugenio arrampicare come un cervo lungo il pendio del monte Tauro e scivolare giù, attraversare altre strade e altre cime per nascondersi, per non farsi prendere dalla Patria.
I fascisti arrivarono a casa Viganò pochi giorni dopo. Eugenio doveva essere già al sicuro anche se la prima neve e il gelo erano arrivati a rendere difficile vivere sulle montagne.
Quel giorno Piero lo ricordava bene. Con il Podestà c’era uno dei padroni Fiumi ben abbigliato di nero. Chiesero di Eugenio. Lucia piangeva mentre il marito giurava di averlo visto scendere verso Luino con lo zaino, pronto per l’arruolamento. Loro si arrabbiarono e dissero che oltre ad Eugenio erano scomparsi altri sette abitanti e che doveva c’entrare il cieco nella storia perché non c’era più nemmeno lui. Il cieco era il Battista e allora Piero capì che Eugenio e i suoi amici avevano di certo superato il confine. Erano scappati in Svizzera e qualcuno li ospitava, c’era ormai una bella rete di protezione per chi decideva di essere libero. Magari gli amici del Moro che da anni portavano caffè, tabacco e zucchero al paese.
«Finchè tuo figlio non si presenta, tu non lavori più per me» disse il Fiumi.
Il padre di Piero abbassò la testa. Lavoro perso, soldi finiti.
Le ultime lire le aveva date a Eugenio perché avesse da mangiare. Mamma Lucia smise di piangere.
Non avrebbe mai scambiato suo figlio con il lavoro di Antonio. La famiglia sarebbe rimasta unita e ce l’avrebbe fatta lo stesso, anche senza i Fiumi e il loro salario. 

giovedì 21 ottobre 2010

LA VOLTA DEL BRICOLLA

Ecco quello che ho definito il mio "bambino di carta e inchiostro" il primo romanzo pubblicato, una storia tenera , narrata in punta di pie attraversando i sentieri  sui fianchi delle montagne che dalla parte povera del Lago Maggiore portano alla Svizzera. La Bricolla è uno strumento per delinquere e per sopravvivere, soprattutto in anni difficili come quelli della seconda guerra mondiale, ma la bricolla è anche portatrice del destino di un uomo, Piero Viganò, che attraversando il confine da bambino si trasforma in adulto, da contrabbandiere per forza, a uomo per onore. Il libro attraversa la vita di Piero, la sua scelta di vita che vedrà ripagata quando tornerà al  paese d'origine per terminare la sua vita. Davanti al suo passato, scorrendo il suo tempo di "sfrosatore" scoprirà per ogni cosa fatta, ogni decisione, ne è valsa la pena.
Benvenuti sul mio blog che ancora non so usare ma cercherò di rendere attivo e interessante. Parlerò di me, di scrittura e di scrittura e ancora di scrittura e di letture e di scrittura. Vi presenterò nuovi racconti e vi mostrerò i miei lavori. Per prima la copertina del mio LA VOLTA DEL BRICOLLA, uscito in settembre e pubblicato dall'editore Macchione e IL CONTO DELLA SERVA antologia di racconti con cui ho vinto il Premio Letterario Piero Chiara - sezione inediti.